Anche quest’anno
il cartellone dei concerti estivi si era palesato ricco di eventi interessanti
e tra gli altri avevo deciso di andare al concerto di Rob Zombie e Megadeth che
si sarebbe dovuto tenere all’Ippodromo di Milano. Evento interessante anche se
un po’ caruccio: 46 euro era infatti il prezzo in cassa la sera del concerto.
L’offertona della prevendita vendeva il biglietto a 40 ma aggiungi 4 di
prevendita appunto e 2 nientemeno della stampa si arrivava a …46 euro! Si
trattava comunque di 2 band e la serata si preannunciava interessante. Immaginatevi
quindi la seccatura di dover spendere la stessa cifra anche dopo l’annullamento
del tour da parte dei Megadeth causa lutto di parente. Ma tant’è avevo
curiosità di vedere uno spettacolo solo di Zombie non all’interno di un
festival e, spostato nel più raccolto Alcatraz, ho potuto in coscienza rendermi
conto che non ne vale la pena. Tra parentesi meglio lo spostamento all’Alcatraz
dato che il pubblico era abbastanza scarso e nel grande spazio dell’Ippodromo sarebbe
sembrato ancora più desolante lo scenario. Prima di passare al concerto mi scuso per il
pippone monetario ma è un argomento a cui sono sensibile e tutte le volte che
gli organizzatori si inventano queste fantastiche prevendite mi sento un po’
preso per il culo.
Ma torniamo a
noi: dicevo che non ne vale la pena perché, pur avendo a disposizione
praticamente tutta la serata per sé, di spalla Powerman 5000 gruppo industrial
del fratello, il Nostro non è riuscito ad esibirsi per più di 75 minuti che tradotto
in lancette fanno un’ora e un quarto! Il gruppo, ottimo con John 5 e Ginger
Fish entrambi ex Manson, ci prova ma l’impressione nemmeno troppo celata è che
già dopo mezz’ora si cerchi solo di tirare in lungo. L’inizio promette bene
anche se le pause tra una canzone e l’altra con scambi di “yeah” e “scream”
rivolti al pubblico rompono un po’ il ritmo. A un certo punto parte “Enter
Sandman” che non c’entra un cacchio ma fa sempre piacere sentirla. E’ solo “una”
cover, ma se aggiungi “Am I Evil?” e la conclusiva “We’re an american band”
fanno 3 dico 3 cover!
Per non farsi (e
farci) mancare niente su “Am I Evil?” sale sul palco anche Cristina Scabbia dei
Lacuna Coil visto che la gnocca riscalda sempre gli animi. Insomma le canzoni
ci sono tutte ma le hit sono quelle e non si scappa, “Superbeast”, “Living Dead
Girl”, “More Human Than Human”, “Teenage Nosferatu Pussy” e la splendida
“Dragula” come canzone finale prima dei saluti, ma poco altro. In cerca di
ulteriore simpatia il nostro indossa maglia da calcio e bandiera dell’Italia e
improvvisa corsetta tra il pubblico per qualche selfie dei fan.
La curiosità me
la sono tolta e per quanto Rob Zombie mi piaccia come personaggio, per
l’immaginario horror e fumettistico che si porta appresso, non credo che le nostre
strade torneranno ad incrociarsi presto.
L’antieroe
non è stato inventato nella serialità moderna da Breaking Bad. E’ almeno dai
tempi dei Soprano e prima di questa di OZ che le serie moderne della tv via
cavo americana hanno posto al centro dell’attenzione eroi disfunzionali e
antieroi che fino a poco tempo fa sarebbero stati semplicemente catalogati come
dei “cattivi”. Nei Soprano il protagonista è un mafioso, ma calato nella realtà
di tutti i giorni che non è poi così diversa da quella di un pater familias
della media borghesia americana con l’aggiunta di problematiche esistenziali
nei confronti della figura materna esplicitate nelle sue sedute terapeutiche.
Walter
White ne è la versione estremizzata. In Breaking Bad il punto di partenza è proprio
quella middle class di cui mister White fa parte da tutta la vita: non nasce in
una famiglia mafiosa, non in un club di motociclisti, non viene dalle
periferie, non è un duro o un poliziotto corrotto. Mister White si presenta nell’aspetto
e nel tipo di vita, nelle debolezze e nelle fallibilità, come qualcuno in cui
possiamo immediatamente riconoscerci essendo nato e cresciuto in un mondo
borghese di cui ha sempre condiviso i valori e le imposizioni sociali. Un contesto
a noi riconoscibile e da cui peraltro non si distaccherà mai completamente.
Sin
da subito però scopriamo che Walter White è un genio della chimica che ha
contribuito a uno studio che ha vinto il Nobel (Pilot) e che ha cofondato con
il suo vecchio compagno universitario Elliott Schwartz una società leader nel
mondo della chimica: la Gray Matter.
Un genio quindi che a fronte di tali capacità “straordinarie” è calato in un
contesto “ordinario” in cui si arrabatta per arrivare a fine mese insegnando in un liceo a studenti
svogliati.
Walter
White nonostante
le eccezionali capacità è un uomo fallito professionalmente e un
uomo che, come dirà lui stesso nell’episodio “Gray Matter” (1x05), non sembra
essere mai riuscito a prendere veramente in mano la sua vita. Il fallimento
professionale per Mister White è prima di tutto il riflesso di un fallimento
umano.
Anche
le relazioni all’interno del nucleo familiare non sono del tutto soddisfacenti:
Walter è insofferente verso il cognato Hank che, pur riconoscendone le
capacità, lo vede come un debole e non gli risparmia frecciatine che lui mal
digerisce (Pilot), così come mal sopporta l’ammirazione che il cognato “eroe”
suscita nel figlio (ep.2x10 “Over”).
Una
ferita in particolare brucia poi nell’animo di Walter più di ogni altra
sconfitta: il suo abbandono della Gray Matter è probabilmente dovuta a un
“affaire” tra Elliott e l’allora sua fidanzata Gretchen (i due poi si sono
sposati gestendo insieme la società). Per lasciare la società accetta una
buonuscita di 5.000 dollari a fronte di guadagni miliardari che la società si
procurerà negli anni a venire. Nell’episodio Buyout (5x06) Walter stesso
configura la sua costruzione di un impero criminale come una rivincita su
quella primigenia sconfitta.
La
storia di Walter White non è quindi quella di un uomo buono che si incazza, perché
Walter non è tanto un uomo buono quanto un uomo che sembra essersi rassegnato
di fronte ai fallimenti e alle sconfitte della vita, in una sorta di
depressione esistenziale ben espressa da quella paura di vivere che lo tiene
sveglio ogni notte (vedi dialogo con Hank nell’ep.2x07 “Negro y Azul”). Una
condizione che lo rende insoddisfatto e che con il tempo gli sta sempre più
stretta avendo anche coscienza di valere molto più di quello che la vita gli ha
dato.
All’inizio
l’alter ego criminale di Walter, Heisenberg, si presenta come una maschera che Walter
usa per accedere al mondo criminale, ma capiamo presto che in realtà Heisenberg
è sempre vissuto sottopelle in Walter come espressione di una rabbia
controllata, ma sempre meno controllabile. Una rabbia che aveva bisogno di una
miccia, di una scintilla per esplodere e che nella serie si concretizza nella,
di fatto, sentenza di morte che la diagnosi di cancro ai polmoni porta con sé,
scatenando qualcosa che in maniera embrionale esisteva già.
Heisenberg
non è altro da Walter, ma è Walter stesso, la parte più oscura e rabbiosa di
ognuno di noi. Potremmo definire Walter e Heisenberg come due polarità dello
stesso carattere emerse in reazione a condizioni diverse della vita. Sono le
mutate circostanze che lo hanno rivelato, anche a se stesso, come un uomo
capace di atti estremi e violenti.
L’“Heisenberg” di Walter marca da un lato la differenza con noi spettatori comuni
e ci fa entrare in un mondo di finzione essendo l’elemento straordinario che infrange
la moralità comune e fa cose incredibili, ma dall’altro ci avvicina ancora di più
a Walter in quanto inizialmente esprime sentimenti e meccanismi che animano
ogni essere umano adulto e moderno: l’invidia, l’insoddisfazione per la propria
vita e per le proprie scelte (se le scelte sono state poi effettivamente
nostre), la frustrazione, il desiderio di riscatto e di autoaffermazione. Per
questo comprendiamo così bene il protagonista perché in ognuno di noi può
esserci un Heisenberg potenziale che in determinate circostanze saremmo capaci
di tirar fuori a nostra stessa insaputa. O che desidereremmo poter tirar fuori.
Quindi
la trasformazione di Walter nel corso delle cinque stagioni è una
trasformazione interna di ciò che la vita e la società ha imbrigliato.
Walter
non è Dottor Jekill e Mister Hyde, non è dicotomico, ma come ogni persona si
muove il più delle volte tra queste due
estremità non essendo mai completamente uno o l’altro ma essendo sempre entrambi
con tutte le sfaccettature umane possibili nell’infinita scala dei grigi che
sta in mezzo. Pur spostando sempre più in là l’asticella di ciò che è lecito,
di ciò che è morale e di ciò che è necessario Walter non perde mai sé stesso.
Semmai scopre una parte di sé stesso rimasta imbrigliata per anni e pur
commettendo cose orribili riesce a completare il suo quadro umano rendendolo
perfino più soddisfacente per sé. Col tempo si rende conto che non solo può
convivere con il rimorso (impersonato da una mosca), ma anzi riesce a dormire bene
senza svegliarsi attanagliato da quella paura che lo aveva imbrigliato tutta la
vita, per la prima volta capace di vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo.
E’
quindi anche ovvio quale dovrebbe essere la mia risposta alla domanda che molti
fan si sono fatti durante le stagioni della serie: questa avventura nel mondo
criminale Walter White la fa per sé o la fa per la famiglia? Dopo l’episodio
finale non sembra nemmeno che ci siano dei dubbi in quanto, nello splendido
confronto con Skyler in “Felina”, Walter ammette con semplicità la verità: “I
did it for me. I liked I was
good at it. And I was really…I was alive”.
Ma,
premesso che reputo difficile credere che qualcuno possa entrare con tanta
determinazione nel mondo del crimine se non lo facesse prima di tutto per sé, è
anche vero che reputo che Walter White lo faccia anche per la famiglia. Le
sfaccettature del personaggio rendono perfettamente conciliabili le due cose,
almeno nel suo modo di vedere e pur essendo un padre snaturato e un marito
bugiardo il desiderio di lasciare dei soldi ai propri cari dopo la sua morte è
sempre stato autentico. La cosa che ho cercato di mettere in rilievo è che l’importante
per Walter era che voleva farlo a modo
suo, qualsiasi altra strada sarebbe stata solo un’ulteriore sconfitta da
aggiungere alle altre. Per questo non si ferma mai nella sua ascesa criminale, se non quando lo decide lui.
Walt
è comunque un family-man e sempre resta tale nel corso delle stagioni nel vano
tentativo di conciliare la famiglia con le attività criminali, desiderando
anche proteggerli dalle conseguenze nefaste delle sue azioni, cosa peraltro impossibile.
Breaking
Bad è una serie che nelle sue cinque stagioni ha sempre messo in chiaro che
ogni azione aveva una “reazione” (come nella chimica) e una conseguenza. Il
bisogno di autoaffermazione dell’antieroe Walter White comporta la negazione
del contesto da cui è partito ovvero la distruzione fisica di persone
indifferenti e/o nemiche e la distruzione morale delle persone più care e/o
vicine che vengono inghiottite dall’egotismo di colui che si deve affermare (e
penso anche al sodale Jesse Pinkman che rappresenta un po’ la “famiglia criminale”
di Walter).
Come
la storia di Breaking Bad ci insegna “All Bad Things Must Come To An End” e la
famiglia grande motore delle azioni di Walter è proprio quella che verrà
schiacciata e in parte distrutta dal desiderio di riscatto sempre più violento
del protagonista.
E
questo è il vero messaggio di Breaking Bad, la radice più profonda dell’essere
umano moderno e non, ovvero l’autodeterminazione di fronte all’inevitabile (la
morte) e la presa di coscienza di quanto saremmo in grado di spingerci per
arrivare ad affermare noi stessi.
Ovviamente
come ho già espletato negli altri punti per raccontare quest’avventura Breaking
Bad non disdegna di pescare consapevolmente e a piene mani dalla cultura
popolare cinematografico – fumettistica. Il sito 400 calci fa un paragone
diretto tra Breaking Bad e le grandi saghe cinematografiche più famose come
Indiana Jones e Star Wars.
Se
ci fermiamo un attimo a pensare, il protagonista quando entra nel mondo
criminale (straordinario) assume quasi le sembianze di un antieroe di tipo
fumettistico con tanto di identità segreta, nome d’arte (Heisenberg, nome di un
noto fisico tedesco responsabile della teoria quantistica della materia, i cui
legami col nazismo non furono mai del tutto chiari) e costume d’ordinanza: pelata,
cappello, occhiali scuri e un pizzetto di stampo luciferino.
Non
è arbitrario parlare di superpotere perché quasi tutta la serie si basa sulle
straordinarie capacità di “cuoco” di Walter unico in grado di cucinare una
metanfetamina pura al 99% e che nessuno riesce a fare a quei livelli, oltre alle capacità di tirarsi fuori dalle situazioni più disparate e disperate
con degli incredibili escamotage.
E’
un caso che Damon Lindelof lo abbia paragonato a Batman?
Citando
l’articolo dei 400 calci “Sympathy for Mr.White”: “Breaking Bad è una grande
saga antiarchetipa, che rovescia le tipologie classiche facendoci parteggiare
per un personaggio dalla moralità in caduta libera e prendendoci a schiaffi
sempre più forti ogni volta che dimostriamo di perdere la bussola anche noi
insieme a lui. Non è che siamo in assoluto troppo vecchi per farci forgiare da
una saga; è che nel frattempo siamo stati forgiati da venticinque anni di VITA,
lustri e lustri di sistematica demolizione degli spensierati ideali manichei
che ci erano stati inculcati da Indiana Jones; ebbene Breaking Bad arriva a
colmare questo vuoto, proponendoci l’unico eroe in cui possiamo ancora credere:
un antieroe disfunzionale, disonesto e fallibile che, in modo miracolosamente
credibile, pur soffrendo e mandando a puttane la vita di tutti (poi dice uno si
identifica), riesce ugualmente a fare un botto di cose fighissime, ammazzare i
cattivi in modi fantasiosi, indossare tute gialle e sciogliere bambini
nell’acido”.
Breaking
Bad riesce a offrire un tipo di intrattenimento avvincente, immediato e potente
grazie a una trama solida, dei personaggi stratificati, uno stile contaminato e
una riscrittura del concetto di ritmo, ma al tempo stesso riesce a veicolare un
prodotto complesso e stratificato.
NOTE:
-la serie è durata 6 anni per 5 stagioni
(dal 2008 al 2013). La quinta stagione è stata divisa in due tronconi di 8
episodi trasmessi a distanza di un anno l’uno dall’altro. Su schermo l’azione
ricopre un arco narrativo di due anni e quasi ogni episodio e ogni stagione
riprendono l’azione dal momento in cui termina nell’episodio o stagione
precedente. Sono poche le ellissi narrative.
-La prima stagione doveva essere di nove
episodi. Ne è durata solo 7 a
causa dello sciopero degli sceneggiatori. Per questo la prima stagione non ha
un vero finale, che si può considerare a buon titolo l’episodio 2x02.
-La serie oltre ai premi per gli attori ha
vinto un Emmy come miglior serie drammatica nel 2013 e un Golden Globe nel 2014
più tutta una serie di premi tecnici e minori. E’ ancora possibile che vinca
l’Emmy quest’anno.
-La serie nel 2014 è entrata nel Guinness
dei Primati come serie più amata dai critici grazie alla quinta stagione che ha
raggiunto su Metacritic un punteggio di 99/100. Il precedente record di 98/100
era detenuto dalla serie The Wire.
-Su imdb la serie ha il voto più alto
raggiunto fino a oggi da una serie televisiva con un punteggio di 9,6 su 10 (e
più di 500.000 utenti votanti). L’episodio “Ozymandias” ha un voto di 10/10.
-Anthony Hopkins ha scritto una mail di
ammirazione a Bryan Cranstone e al cast di Breaking Bad facendogli i
complimenti per la serie.
-Ci sono vari omaggi a Breaking Bad nei
media americani. In un episodio dei Simpson la
“gag del divano” è dedicata a Marge
che cucina la blue-meth mentre sullo schermo appaiono Walter White e Jesse
Pinkman. Anche Family Guy (I Griffins) ha dedicano una parodia a Breaking Bad
in cui Peter Griffin ripete come un mantra che è la serie migliore di sempre
(insieme a The Wire), in un altro episodio Cranton in persona appare parodiando
se stesso. In un episodio della serie canadese Continuum viene citato
Heisenberg (non il fisico, ma proprio il cuoco di metanfetamine). Il DJ Steve
Aoki ha accompagnato un suo singolo con un videoclip che è un omaggio alla
serie.
-A giugno di quest’anno è partito il remake
colombiano di Breaking Bad che si chiama “Metastasis”.
-Agli inizi del 2015 partirà lo spin-off “Better
Call Saul” con protagonista l’avvocato Saul Goodman prima di incontrare il suo
cliente più famoso. La serie è già stata rinnovata per una seconda stagione per
un totale di 23 episodi (10 nella prima stagione 13 nella seconda). Peter Gould
inventore del personaggio sarà lo showrunner insieme a Vince Gilligan. Gould ha
di recente dichiarato che la timeline non sarà lineare e lo show potrà essere
collocato oltre che prima, anche durante e dopo Breaking Bad.
-Il sito Badtv ha raccolto qui 34 curiosità
su Breaking Bad.
-E’ stata la prima serie in vita mia che ho
seguito in contemporanea con gli USA (gli otto episodi finali).
Il
teaser o cold open in una serie tv è quello che succede dopo l’eventuale
riassunto e prima della sigla. E’ un modus operandi narrativo che serve a
catturare lo spettatore per tutta la durata dell’episodio. Quei minuti prima
della sigla sono quelli che in una serie crime-poliziesca presentano l’omicidio
da risolvere o, in una serie fantascientifica o d’azione, il mistero da
sciogliere.
Il
teaser di Breaking Bad è fondamentale nella narrazione ed è anche uno dei miei
momenti preferiti perché gli autori della serie ne sfruttano appieno tutte le
potenzialità e non solo quello di “premessa agli avvenimenti”.
Il
Pilot di Breaking Bad è già un esempio perfetto: all’inizio vediamo un cielo
blu, dei pantaloni color cachi volare, un caravan correre nel deserto e un uomo
in mutande al volante con indosso una maschera a gas accanto a un uomo svenuto.
Subito dopo quello stesso uomo scende dal caravan e gira un video dedicato alla
famiglia in cui dice di chiamarsi Walter Hartwell White, in sottofondo delle
sirene e poi il signor White punta una pistola verso l’orizzonte. Parte la
sigla e l’episodio ricomincia tre settimane prima con lo stesso uomo in una
casa, a letto con la moglie, che si alza in preda all’insonnia per fare
ginnastica. Si rimane spiazzati e ci si chiede che cosa sarà mai successo per
portare mister White in mezzo al deserto. Scopriremo solo alla fine come gli
avvenimenti del teaser si ricollegheranno al resto della storia.
Breaking
Bad non si ferma qui e usa il teaser nei modi più disparati e non limitandosi a
un flashforword di ciò che accade nell’episodio. La seconda stagione si apre
con immagini in bianco e nero di una piscina, di un occhio finto che galleggia
e di un orsacchiotto di un vivido colore rosa con mezza faccia bruciacchiata.
Questi elementi non avranno alcuna spiegazione all’interno dell’episodio stesso
e il ripetersi di questa sequenza in altri cold open, a cui vengono aggiunti
ogni volta nuove immagini, fa capire che siamo di fronte a qualcosa che verrà
spiegato alla fine della stagione. E infatti solo nell’ultimo episodio le
immagini viste acquisteranno un significato.
Anche
la quinta stagione si apre con un flashforward del protagonista a cui gli
avvenimenti della stagione dovranno a un certo punto ricollegarsi.
Altre
volte siamo di fronte ad avvenimenti che avvengono in contemporanea, ma a chilometri
di distanza come l’apertura della terza stagione che inquadra due messicani mai
visti prima nella serie che strisciano per terra fino a un tempio della Santa
Muerte (un culto veramente esistente in Messico e molto popolare tra i Narcos),
per cui la domanda dello spettatore nel corso delle puntate diventa: “Chi sono
questi due messicani? Quando e come si incontreranno con i nostri protagonisti?”. E' il teaser che setta il tipo di visione e di aspettative che deve avere lo spettatore.
Altre
volte ancora assistiamo a dei flashback sia dei protagonisti, sia dei personaggi
minori della serie. Non è raro quindi che in Breaking Bad il teaser serva
a spezzare la linearità spazio-temporale tipica delle vicende narrate da serie
non fantascientifiche (e probabilmente Vince Gilligan deve ringraziare ancora
la sua pregressa esperienza in X-Files), inserendovi anche vicende che non
avrebbero avuto spazio nel normale svolgimento dell’episodio.
Ogni
volta che inizia un episodio di Breaking Bad non si sa mai cosa mostrerà il
teaser.
Alcuni
teaser sono totalmente imprevedibili, come quello di “Negro y Azul” (2x07) in
cui si assiste a tre messicani che cantano un narcocorrido dedicato alle
vicende del narcotrafficante gringo “Heisenberg” (la canzone è originale e
scritta apposta per la serie dal gruppo “Los Cuates de Sinaloa”). Una canzone
dal ritmo allegro accompagnata da testo e immagini drammatiche.
Altre
volte ancora, pur mantenendo la linearità della narrazione, il teaser contiene
alcuni momenti talmente memorabili da essere diventati più famosi dell’episodio
stesso, come il dialogo tra Heisenberg e alcuni narcotrafficanti in “Say My
Name” (5x07).
Una parte del teaser di Say My name (non l'ho trovato completo su youtube, ma la parte più bella c'è tutta):
8)
L’ATTENZIONE AI PARTICOLARI
Breaking
Bad è attenta ai particolari e fa uso come altre serie di citazioni interne. Nella seconda
stagione unendo i titoli dei quattro episodi che presentano il teaser del flashforward in bianco e nero si ottiene “Seven-Three-Seven Down Over ABQ” ovvero
un’anticipazione di quello che succederà a fine stagione.
Il volto di Gus Fring nel
finale della quarta stagione rimanda direttamene all’orsacchiotto rosa che
ossessionava i fan nei teaser sopra citati.
C’è anche uno studio
cromatico nella serie a partire dal rosa dell’orsacchiotto fino al verde della
sigla e al giallo delle tute da lavoro, passando dal viola degli arredi di Marie e dai cognomi cromatici dei
protagonisti Pinkman (uomo rosa) e White.
Il caso più eclatante è la
metanfetamina cucinata dal signor White il cui marchio di fabbrica è il colore blu. Come dirà la nevrotica e spietata
Lydia nella quinta stagione si può derogare sulla purezza della droga, ma non
sul colore. Mister White ha creato un vero e proprio prodotto industriale (la “Blue Sky Meth” che lui stesso definisce la
Coca-Cola delle droghe nel teaser di “Say My Name”) e come
tutti i prodotti di massa è un brand riconoscibile, in questo caso grazie al colore.
Gran parte degli episodi
della prima stagione sono citazioni di classici film americani come ha spiegato
lo stesso Vince Gilligan nei contenuti speciali dei DVD: unendo il titolo della
seconda e terza puntata della prima stagione si ottiene la frase “Cat’s in the
Bag and the Bag in The River” ovvero una citazione di un film drammatico come
“Sweet Smell of Success” (in italiano “Piombo Rovente”), “Crazy Handful or Nothing”
è una citazione di “Cool Hand Luke” (“Nick Mano Fredda”) altro classico
hollywodiano con Paul Newman, “A No-Rough-Stuff-Type
Deal” titolo dell’ultimo
episodio della prima stagione è una citazione del film dei fratelli Coen “Fargo”. Tutti i titoli riflettono ciò che sta accadendo in
quell’episodio, nella serie e nella vita di Walter.
Nelle
stagioni successive alcuni titoli sono in spagnolo sia per
richiamare l’utilizzo della lingua spagnola che in New Mexico è largamente
diffusa, sia per richiamare l’influenza nella storia dei cartelli messicani.
Nella serie vengono anche citati
vari elementi culturali e abitudini del cartello messicano della droga: la Santa Muerte, il narcocorrido,
o la pratica di usare rituali ben precisi per uccidere nemici e traditori (in
questo caso la pratica della decapitazione sia a spese di Tortuga che di Hank).
La
musica è parte integrante della serie e con il procedere delle stagioni ne
diventa uno degli elementi più caratteristici e vitali
Si
spazia dai classici della musica jazz (Nat King Kole) e british rock
(Badfinger) all’alternative rock (Calexico) al rap (Ana Tijoux), fino a forme
di musica tradizionale come il fado dei Los Zafiros o il narcocorrido con la
già citata “Negro Y Azul” scritta apposta per la serie dai "Los Cuates de Sinaloa”
e conosciuta tra i fan come “la canzone di Heisenberg”.
Ma
la musica diventa protagonista della serie nella misura in cui accompagna
momenti emotivamente importanti o sottolinea passaggi cardine della serie così
da creare un legame evocativo con le immagini grazie a curatissimi montaggi.
Così “He Venido” dei Los Zafiros riporta alla mente la distruzione di un
oggetto iconico come il van in cui Jesse e Walt hanno cucinato nelle prime
stagioni, “Crawl Space” di Dave Porter (responsabile dello score originale
della serie) sottolinea un momento angosciante, mentre "Black" di Danger Mouse e Daniele Luppi accompagna una rivelazione sconvolgente. Altre volte la musica fa risaltare
dei momenti che assumono un sapore epico come la camminata al ralenty di Gus
Fring in “Face/Off“ (4x13 -“Goodbye” degli Apparat) degna del duello finale di
un vero western o ancora la scena finale di “Granite State” in cui viene usato
per intero il Main Theme della serie.
Gran
parte di queste canzoni sono accompagnate da interessanti montaggi: “1977” il rap di Ana Tijoux sottolinea
il passare del tempo grazie a un montaggio accelerato, “Crystal Blue Pesuasion”
di Tommy James and The Shondelles con un montaggio più tradizionale oltre al
passare del tempo rimarca anche la routine dei gesti che i personaggi fanno.
Le
note malinconiche del jazz di Nat King Cole accompagnano una vera propria
strage che grazie a un montaggio alternato ci mostra il livello di cattiveria
raggiunto dal protagonista.
Altri
montaggi associano una canzone dall’incedere allegro ad immagini drammatiche (vedi
il già citato e postato video di “Negro Y Azul”). Altre volte certe canzoni
sono così fuori contesto da sottolineare l’eccentricità di un personaggio come
Gale Boettigher che canta in perfetto dialetto milanese “Crapa Pelada” del
“Quartetto Cetra” e poche puntate dopo viene mostrato in una strepitosa performance
da karaoke con “Major Tom” di Peter Schilling (misconosciuto cantante tedesco).
Infine
in alcuni casi la canzone accompagna un avvenimento così importante che basta
citare il titolo per evocare la scena a cui questa resterà sempre legata: “Baby
Blue” dei Badfinger vi dice nulla?
E qui mi sbizzarrisco. Ecco alcuni dei miei momenti e montaggi musicali preferiti (alcuni non sono riuscita a trovarli su youtube sigh):
La distruzione del caravan:
Gale canta "Crapa Pelada":
La camminata di Gus:
Jesse e Mike nella scena della macchina:
Il main theme suonato interamente:
10)
LA POESIA
No,
questo punto non è per dire che Breaking Bad è una serie poetica. Anzi diciamo
che di poetico in Breaking Bad non c’è nulla, forse solo l’episodio della
seconda stagione “4 Days Out” ha dei momenti poetici.
Per
poesia intendo proprio le poesie.
L’episodio
forse più famoso dell’intera serie e da molti considerato il più bello
“Ozymandias” (5x14) prende il nome dal sonetto omonimo di Percy Bysshe Shelley.
Ozymandias
era il soprannome di Ramesse il Grande, faraone dell’antico Egitto e nel sonetto
Shelley immagina di incontrare un
viaggiatore che gli racconta di avere letto un’iscrizione che recita:
"My name is
Ozymandias, king of kings: Look on my works, ye Mighty, and despair!"
Nel
promo bellissimo che accompagna il lancio della seconda metà della quinta
stagione sentiamo Bryan Cranston recitare il sonetto.
E’
ovviamente possibile leggere gran parte della stagione finale alla luce del
sonetto diventato emblema della caducità del potere umano.
Ma
non c’è solo Shelley in Breaking Bad.
Anzi
il poeta più importante e legato a Breaking Bad è Walt Whitman fissazione del
chimico Gale Boettigher la cui opera contenuta nella raccolta di poesie “Leaves
of Grass” (Foglie d’erba) attraversa come un fil rouge la serie diventandone un
vero e proprio attore!
Il
video ufficiale di Breaking Bad in cui Bryan Cranston recita Shelley:
Spiegato
di cosa parla Breaking Bad ci si potrebbe chiedere quale sia il genere di
Breaking Bad. Sicuramente è un crime
drama, certo, ma, e questo può spiazzare molti che non se lo aspettano, Breaking
Bad è anche un family drama.
La
famiglia è un elemento portante della serie e il minutaggio dedicato ad essa è
uguale se non superiore a quello dedicato alle vicende criminali del
protagonista. Le interazioni all’interno di casa White/Schrader vengono
scandagliate fin nei minimi particolari e la serie è piena di tipici momenti
familiari con feste, pranzi a bordo piscina e scene di vita facilmente
rapportabili a quelle di qualsiasi famiglia media del globo. Con l’incupirsi
della serie questo quadro familiare diventa sempre più uno specchio per le
allodole dietro il quale si consuma un dramma, in particolare tra i due
coniugi, di cui nessuno riesce, nemmeno i familiari più stretti, a capire la
portata (il cancro funge per parecchio tempo come scusante delle varie
stranezze di Walter).
La
serie quindi si muove sia nel mondo familiare, su un piano che potremmo
definire ordinario, sia nel mondo criminale in un piano che possiamo definire straordinario.
Per
Breaking Bad si parla giustamente di realismo psicologico. Quando la serie si
concentra sulle dinamiche familiari possiamo benissimo parlare anche di realismo
del contesto e dello stile narrativo. Quando però i personaggi si spostano nel
mondo del crimine la serie assume uno stile a volte iperrealistico, a volte
fantastico, a volte fumettistico (e non è un termine dispregiativo).
Ecco
allora che a scene realistiche si accompagnano e si alternano scene pulp
(qualcuno ha parlato di testuggine?), personaggi esagerati, morti granguignolesche,
eventi astrusi, momenti grotteschi e surreali a cui
corrispondono delle accelerazioni improvvise e inaspettate, che spezzano
il ritmo misurato della narrazione e che fanno svoltare la trama. Sono
veri momenti di rottura che aumentano con il progredire delle stagioni.
Il
sito 400calci ha paragonato la visione di Breaking Bad a un giro sull’ottovolante
emozionale.
Nelle
prime stagioni poi, pur mettendo in scena una storia nerissima e drammatica, la
serie riesce ad alternare momenti drammatici a folgoranti momenti di humor nero,
anche all’interno di uno stesso episodio o di una stessa scena. Le innate capacità
comiche di Bryan Cranston sono sicuramente andate a vantaggio della serie. Lo
stesso Cranston, infatti, afferma che Walter White è involontariamente comico.
Breaking
Bad è quindi un’ibridazione di media (cinema, fumetti, tv), di generi cinematografici
e di stili narrativi, tutti sapientemente bilanciati. E’ un crime drama, un
family drama, un thriller, una tragedia shakespeariana e un western moderno dal
sapore epico.
La
potenza del racconto quindi sta nell’inserire nel contesto realistico un sottocontesto
volutamente caricaturale, volutamente esagerato, volutamente caotico e
volutamente mitologico che emerge soprattutto quando ci spostiamo nell’universo
criminale. Breaking Bad riesce laddove quasi tutte le altre serie falliscono
ovvero riesce a mantenere coerente il livello narrativo realistico
bilanciandolo con un secondo livello meno realistico e più prettamente
artistico, di finzione, ancora più coerente con se stesso. I fantasiosi
escamotage con cui Walter esce dalle situazioni più improbabili sono un’esagerazione
di qualcosa di vero e fattibile ma il riuscire a improvvisare cosi bene da
parte del protagonista (e degli autori) è una coerenza del racconto non della
realtà.
Ciò
che permette a Breaking Bad di non effettuare mai il salto della quaglia è
proprio questa coerenza narrativa e la già citata coerenza psicologica dei
personaggi, così che le improvvise accelerazioni a cui corrispondono gli eventi
più disparati o improbabili si incastrano perfettamente nella struttura narrativa realistica creando
uno stile originale e irripetibile.
E’
il sapiente dosaggio di tutti questi contrastanti elementi che produce la
reazione chimica perfetta che rende Breaking Bad un’opera unica e inimitabile.
Uno degli escamotage più riusciti di Walter White da "Crazy Handful Of Nothing" (1x06):
5)
LA REGIA ELA FOTOGRAFIA
La
regia e la fotografia sono altri due punti di forza della serie, laddove ci
distacchiamo decisamente da un tipo di ripresa telefilmica per approdare
direttamente a una ripresa dal respiro cinematografico.
Per
la fotografia si deve ringraziare Michael Slovis che raggiunge il team di
Breaking Bad nella seconda stagione e insieme alla regista Michelle McLaren
anch’essa arrivata nella seconda stagione contribuisce a dare un carattere molto
più definito alla serie. Potremmo dire che se nella prima stagione il protagonista
della storia Walter White sia ancora tentennante lo stesso vale per la serie
(per quanto abbia già in sé in maniera grezza tutti gli elementi di grandezza
successivi). Dalla seconda stagione sia il creatore Vince Gilligan che il suo
protagonista assumono sempre maggiore sicurezza e decisione.
I
colori si fanno più nitidi e decisi e con il passare delle stagioni, incattivendosi
i toni, anche più cupi e scuri.
Uno
degli elementi fondamentali della serie è l’ambientazione.
Albuquerque
fu una seconda scelta per il team di Breaking Bad. Nell’idea originale di Vince
Gilligan la serie doveva svolgersi in California, ma la Sony indicò il New Mexico per
una serie di sgravi fiscali di cui poteva godere chi girava nello stato. E fu
un bene.
Il
team di Breaking Bad ha fatto di ABQ e soprattutto degli incredibili paesaggi
del deserto del New Mexico, e non solo, dei veri e propri personaggi della
serie con riprese la cui bellezza toglie il fiato (vedi un episodio come il 2x09 “4 Days Out”, girato proprio dalla McLaren).
E
non si possono dimenticare quei magnifici colori accesi in cui Michael Slovis
immerge tutte le scene ambientate in Messico.
Breaking
Bad non si è fatta comunque nemmeno problemi ad usare riprese in bianco e nero
come in alcuni teaser della seconda stagione.
Ci
sono poi dei virtuosismi registici che potremmo definire marchio di fabbrica
della serie come lo sfondamendo della quarta parete, per cui i protagonisti guardano
in macchina, un tipo di ripresa che permette di entrare direttamente nelle
vicende o le riprese POV (ovvero “point of view” cioè da un “punto di vista”). In
alcuni casi in Breaking Bad le ho anche trovate inutilmente esagerate, come la
ripresa di Jesse Pinkman /Aaron Paul da una pala, di cui non si capisce il
significato, se non che, ormai alla sua quarta stagione, la serie ha assunto
una tale sicurezza nei propri mezzi da potersi permettere i vezzi di una prima
della classe.
Alcune
sparatorie sono riprese in maniera così “cazzuta” che si trattiene il fiato
dalla tensione. Il finale di “One Minute” non ha praticamente nulla da invidiare
al 99% dei thriller che passano al cinema.
Quest’attenzione
all’immagine comunque è dovuta ancora una volta alla mente che sta dietro tutto
Breaking Bad cioè Vince Gilligan. In un’intervista rilasciata a una rubrica di RAI4 Gilligan parlava del suo modo di intendere la
TV e di come dal suo passato in X-Files avesse imparato il
metodo Chris Carter ovvero far vedere una cosa per immagini invece di
“spiegarla”.
Quando
Walter White prende la decisione della sua vita assistiamo semplicemente a un
uomo che accende in maniera ossessiva dei fiammiferi per poi spegnerli davanti
alla piscina avvolto nella luce dell’alba. In quell’immagine del tutto silente si
può leggere tutta la disillusione di un uomo che ha ricevuto quasi solo
sconfitte dalla vita, ultima delle quali la diagnosi di tumore terminale e quasi
possiamo percepire il processo mentale che lo porterà a stravolgere la sua esistenza.
Spesso
nella serie sono proprio le immagini suggestive a dialogare direttamente con le
nostre emozioni veicolando un messaggio al posto di lunghi e noiosi spiegoni.
Questo bellissimo video raccoglie alcune immagini POV e con sfondamento della quarta parete in Breaking Bad:
Qui sotto un paio di immagini dall'episodio "4 Days Out":
6)
I DIALOGHI E LE CITAZIONI
Pur essendo Breaking Bad una serie profondamente visiva e che parla per immagini è
altrettanto vero che la serie è piena di dialoghi brillanti e ben calibrati.
Una
delle caratteristiche della serie è che i personaggi dicono frasi diventate
oggetto di infinita citazione tra i fan in primis quelle del protagonista
Walter White/Heisenberg le cui one-liner badass insieme ai suoi tanti momenti di
follia/megalomania sono un’autentica goduria per gli spettatori. Frasi come "This is not meth", "Stay out of my territory", “Run”, “I’m in the Empire business” “Nothing can stop this train”, “Thread
lightly” o “Say my name” (e tutto il dialogo connesso) sono diventate
leggendarie tra gli amanti della serie. Chi dimentica quel “I’m
not in danger Skyler, I’m the danger” all’ interno del monologo di Walter che
termina con la frase simbolo “I’m the one who knoks”? (la traduzione letterale è
“Sono io colui che bussa” che non si sa perché in italiano è stata tradotta con
“a me nessuno può sparare” trasformando una potente metafora, quella di colui
che viene a bussare alla porta per risolvere i problemi in maniera violenta aka
per uccidere, in una frase come tante altre)
Giusto
per mostrare quanto fissati possono diventare i fan della serie un attore
famoso come Samuel L. Jackson ha
reinterpretato il monologo di Walter White in "Cornered" (4x06) e lo ha postato su
youtube.
Qui
il video:
E l'originale:
Ci
sono poi le frasi di lancio delle varie stagioni, altrettanto famose e potenti,
come “Remember My Name”, “All Bad Things Must Come To An End” per il lancio
degli otto episodi finali e la più famosa di tutte “All Hail The King" con
cui è stata lanciata la prima metà della quinta stagione.
Anche
Skyler ha un paio di one-liner degne di essere ricordate come “I Fucked Ted” o “Someone
has to protect this family to someone who protect this family”
Anche
alcune espressioni tipiche degli altri protagonisti sono diventate popolari come
il “Jesus Marie” di Hank, ma soprattutto il “Bitch” di Jesse Pinkman, che è
diventata la vera parola simbolo della serie e c’è chi in internet ha fatto una compilation contando i "Bitch" che il ragazzo pronuncia durante la serie:
Sono
infiniti poi gli aneddoti e le metafore colorite con cui si esprime l’avvocato
Saul Goodman come lo spot televisivo con lo slogan “Better Call Saul” con cui l’avvocato
meno legale della storia si presenta al mondo, ma soprattutto il “Belize” che per
i fan della serie non ha bisogno di spiegazioni.
Lo spot di Saul Goodman:
Ovviamente
ognuno avrà la citazione che ricorda e che ama di più.