giovedì 26 giugno 2014

PARTE UNO - IL SUCCESSO E’ UNA QUESTIONE DI CHIMICA: GLI ELEMENTI CHE INTERAGENDO RENDONO BREAKING BAD UNA SERIE UNICA.

Introduzione qui


1) LA TRAMA. 
Se in un film la storia può essere anche secondaria essendo più lo sguardo di un regista a determinare la caratura del lungometraggio, in una serie tv la dimensione narrativa è per definizione fondamentale.
La serializzazione degli episodi con la presenza di una forte trama orizzontale a discapito di quella verticale (autoconcludentesi nell’episodio) è uno degli elementi fondanti della rivoluzione televisiva messa in atto dalle tv via cavo e in particolare da mamma HBO a partire dai suoi show più famosi come OZ, The Sopranos, Six Feet Under e The Wire.
Nel caso di Breaking Bad si può parlare di iperserializzazione in quanto la serie è un unicum narrativo con un inizio e una fine ben precisa. E’ una storia che inizia con il primo episodio e finisce con l’ultimo ed è possibile guardarla come fosse un film lungo 60 ore.
In molte serie accanto all’arco principale vi è anche un arco narrativo che si conclude all’interno della singola stagione. In Breaking Bad questo accade solo nella seconda stagione, l’unica ad avere un andamento circolare, senza però spezzare l’orizzontalità della trama che, al contrario, dalla fine della seconda stagione subisce un grosso balzo in avanti con l’entrata in scena di nuovi (e fondamentali) personaggi.
Non solo, con l’eccezione di Fly (ep.3x10), che comunque è un gioiellino, nessun episodio è fine a se stesso, tutti gli episodi, uno dopo l’altro, portano avanti la storia e la parabola ascendente del protagonista. La trama non si impantana mai su stessa né gira a vuoto, in una progressione lenta ma inesorabile e soprattutto in un costante crescendo narrativo, episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, fino alla sua fine naturale.
Anche tutto ciò che si vede nella serie ha un suo fine narrativo: o serve alla storia per progredire o serve a caratterizzare i personaggi o anche a entrambe le cose.
Un avvenimento all’interno di un episodio può avere conseguenze determinanti sull’arco narrativo anche molte puntate o molte stagioni dopo.
Citando il “fucile di Chechov” si può essere certi che se in Breaking Bad si vede un fucile (metaforicamente parlando), prima o poi questo sparerà.
L’esempio migliore è rappresentato dal colpo di scena finale dell’episodio “Gliding Over All” (5x08) quando un oggetto visto due stagioni prima “spara” facendo un colpo assordante.
Nonostante la serie possa essere definita un lungo film, i singoli episodi si reggono perfettamente su stessi e pochi di questi finiscono con un cliffangher (memorabili però quando ci sono!).  A sua volta, infatti, ogni episodio è un piccolo film.
Come riportato da Alan Sepinwall nel suo libro “Telerivoluzione”, un dirigente dell’International Film Channel, consorella della AMC, dopo aver visionato il pilot di Breaking Bad affermò che con venti minuti in più sarebbe stato il miglior film indipendente dell’anno.
Proprio perché la storia si sviluppa lentamente può essere che non tutti all’inizio colgano il suo potenziale, ma non vi è dubbio, che con il passare delle stagioni, Breaking Bad lo sviluppi ampiamente, cosa che molte serie non fanno restando delle occasioni sprecate.


2) I PERSONAGGI
Una grande serie è fatta di grandi personaggi. Breaking Bad non è solo una serie con una grande trama ma è soprattutto, come tutte le grandi serie moderne, un racconto di personaggi e relazioni.
Di Walter White ho già parlato e parlerò più approfonditamente in seguito, ma Breaking Bad è piena di personaggi memorabili che grazie a una sceneggiatura generosa hanno tutti il loro momento di gloria (sì alla fine anche Walt jr.). Alcuni di loro diventeranno così importanti da arrivare in alcune stagioni ad oscurare il protagonista, come accade nella quarta stagione al personaggio di Gus Fring.
La forza dei personaggi della serie è merito del grande lavoro svolto dagli autori, che ne cesellano la personalità tenendoli saldamente ancorati a un forte realismo psicologico che gli permette di avere coerenza narrativa. Lo spettatore quindi riesce a credere a tutto ciò che i protagonisti fanno sullo schermo e a immedesimarsi con essi, per quanto strane possano essere le situazioni in cui gli autori stessi li cacciano.
Soprattutto, i personaggi di Breaking Bad sono vivi, palpitanti, densi e lacerati.
Jesse Pinkman, l’ex studente di Walter White è, di fatto, il coprotagonista della serie e la sua relazione con Mister White uno degli elementi fondanti della serie stessa. Nonostante inizialmente ci venga presentato come un criminale (di poco conto ma sempre un criminale) mentre Mister White come uno “sfigato” e mite professore, la serie ribalta molto presto questa idea, facendo di Jesse l’elemento più umano del duo criminale, distrutto dai sensi di colpa. Non sono innocentista, riconosco a Jesse le sue colpe e spesso non ho apprezzato i suoi comportamenti troppo stupidi ed emotivi, ma la serie ci fa vedere in lui una forma di purezza assente in altri personaggi grazie soprattutto alla connessione naturale che il personaggio instaura con l’infanzia, specchio di un’innocenza che forse Jesse non ha mai perso del tutto.
La sua evoluzione è più per reazione che per azione, imprigionato a un certo punto in un mondo criminale a cui non riesce a sottrarsi perché continuamente ricacciato dentro da Gus o da Walt. Jesse viene umanamente distrutto, man mano che la serie avanza, dalle azioni e dall’incattivimento di Mister White che non si fa problemi a mentire e manipolare chi gli sta intorno pur di arrivare ai suoi scopi. Il personaggio passa da essere uno spacciatore idiota e fattone, entrato nel mondo del crimine per avere dei soldi facili da spendere nei divertimenti più brainless possibili, vestito in maniera improbabile e con un linguaggio pieno di yo! e  bitch!, a una persona lacerata, attraverso un viaggio di maturazione che è una sorta di crudele e sadico romanzo di formazione al contrario.
Skyler White, stigmatizzata dal fandom come la moglie rompicoglioni e un po’ zoccola di mister White è invece un ritratto di donna molto complesso. Anche lei all’inizio è la tipica moglie da middle class, di facile moralismo, che porta i pantaloni in casa e che anche nella realtà vedresti accanto a un uomo grigio e spento come il Walter degli inizi.
E’ però anche l’unica che all’interno del nucleo familiare si accorge che Walter nasconde un segreto e che sta mentendo a tutti. Scoperta la verità, si ritrova intrappolata nell’impossibilità di denunciarlo per non rovinare e distruggere la famiglia, rendendo i suoi comportamenti incomprensibili agli altri membri del nucleo familiare. Infine Skyler viene risucchiata nell’impresa criminale del marito, prima con complicità, poi con terrore verso il marito, soprattutto quando capisce che Walter non è solo un produttore di droga ma anche un assassino e un boss. Il fascino di Skyler è di essere al contempo complice e vittima di Walter. Molti fan la accusano di essere attaccata al denaro, motivo della scelta di aiutarlo eppure non la vediamo mai approfittarsi dei soldi accumulati. Anzi è attentissima a non spendere un centesimo in più per non attirare l'attenzione sul nucleo familiare.
Hank Schrader, il cognato di Walter e poliziotto della DEA (unità antidroga) è un altro personaggio che all’inizio ci viene presentato in maniera del tutto stereotipata come un gradasso poliziotto del sud tutto azione e “sboroneria”, per diventare col progredire delle stagioni un personaggio a tutto tondo, fragile e forte, bonario e minaccioso, man mano che si trova sempre più coinvolto nelle vicende del famigerato Heisenberg e dei cartelli messicani, senza sapere che dietro molti avvenimenti si nasconde il cognato, che ai sui occhi resta sempre un debole. La serie dà ai personaggi anche molti “vezzi” che li caratterizzano, li rendono più umani e fanno empatizzare più facilmente per loro. In Hank una delle cose più simpatiche è la sua mania per Shania Twain e la sua fissazione per i minerali oltre alla sua abitudine di produrre la birra in casa. Marie, la ciarliera moglie di Hank e sorella di Skyler, è il prototipo della moglie che ha tutto ma è insoddisfatta e lo esterna con la cleptomania pur mantenendo un’innocenza di fondo (non è vero che questo filone narrativo è inutile come dicono molti, nella quarta stagione viene ritirato fuori in un episodio, quando cioè per una serie di avvenimenti ha senso “ritirarlo fuori”, come somatica reazione di una donna che soffre ma, cosa molto più importante, servirà anche a sbloccare la trama).
Infine Walter Jr. che sicuramente resta il personaggio più strumentale della serie e non esce (quasi) mai dal ruolo di figlio pure e ignaro di Walter.
Ovviamente ci sono poi i personaggi che si muovono nel mondo criminale che sono, non solo fortemente caratterizzati, ma spesso stravaganti e folli.
Su tutti il mio preferito: l’avvocato allegramente amorale Saul Goodman, vestito con i completi dai colori più improbabili e dalla parlantina pronta, che dietro l’apparenza da azzeccagarbugli nasconde un’approfondita conoscenza dei meccanismi della legge e dei modi di interpretarla nella maniera più conveniente possibile. E’ anche quello che “knows a guy who knows a guy who knows another guy” e che con un paio di telefonate tira fuori tutti dai pasticci. Saul Goodman si presenta come un pagliaccio ma è tutt’altro che da prendere sottogamba.
C’è poi il boss Gus Fring, locale re del narcotraffico, freddo e gelido, ma anche sempre gentile e dai modi quasi raffinati. Non si lascia mai andare e non alza mai la voce nemmeno quando minaccia. Indecifrabile e spietato, Gus è il prototipo dell’imprenditore del crimine che si nasconde in piena luce essendo per il mondo un cittadino modello, educato e ben vestito, proprietario della catena di fast-food del pollo fritto “Los Pollos Hermanos”, che usa per nascondere le sue vere attività. Gus in mezzo a spacciatori pazzi è un tipo d’uomo in cui uno come Walter si può rispecchiare risultando altrettanto intelligente, ma molto più calcolatore e meno megalomane.
Infine Mike Ehrmantraut ex poliziotto è una sorta di Mr.Wolf, nonché spietato killer al soldo del boss Gus Fring. E’ il classico duro con un cuore, ma che fa quello che deve essere fatto ed è leale con il suo capo.
Anche la caratterizzazione dei personaggi di contorno è curata nei minimi dettagli.
Accanto ai protagonisti vi è infatti una pletora di personaggi minori altrettanto indimenticabili, a volte sopra le righe, a volte pericolosi, a volte completamente folli. Elencarli tutti sarebbe un lavoro lunghissimo, ma ne cito giusto due che ho amato parecchio (ma sono sicura che ogni fan di Breaking Bad avrà i suo personaggi minori preferiti): Hector “tio” Salamanca, che usa per comunicare solo un campanellino (e gli occhi!) e Gale Boetticher il chimico tanto bravo quanto eccentrico che cita Walt Whitman e che, tra un karaoke e l’altro, canta Crapa Pelada.



3) GLI INTERPRETI
Una grande serie non è una grande serie senza grandi attori.
Avrei potuto anche intitolare questo paragrafo semplicemente Bryan Cranston, ma voglio essere giusta verso gli altri, tutti ottimi, interpreti.  Di fatto però uno dei più grandi surplus che la serie ha su decine di altre è la performance travolgente di Bryan Cranston, che regala a Walter White una rara tridimensionalità e lo guida rabbiosamente nella metamorfosi fisica e psicologica durante tutte le cinque stagioni dello show con un’identificazione attore/personaggio che è pari solo a quella di James Gandolfini/Tony Soprano.
Per questa indimenticabile interpretazione Bryan Cranston ha fatto incetta di premi portandosi a casa tre Emmy e un Golden Globe.
Bryan Cranston era famoso negli Stati Uniti come attore comico nella sitcom “Malcom in the Middle” in cui interpretava Hal, il padre fuori di testa del protagonista. Vince Gilligan non l’ha però ingaggiato per questo, ma per una precedente collaborazione che i due avevano realizzato ai tempi di X-Files. Vince Gilligan, infatti, era uno dei principali sceneggiatori e produttore esecutivo della serie di Chris Carter e cercava per un suo episodio (Drive) un attore capace di interpretare una persona sgradevole ma che riuscisse a suscitare l’empatia del pubblico.
Gilligan volle Bryan Cranston nella parte perché capace di trovare il lato umano del mostro, anche se, citando le parole di Alan Sepinwall, Bryan Cranston man mano che la serie avanzava risultò ancora più bravo “nell’incarnare il mostro che cerca di sfuggire dalla sua fragile gabbia umana”.
Aaron Paul (anche lui premiato con due Emmy) lavorando di sottrazione è invece stato bravissimo a mostrare il tormento del giovane Jesse così come Anna Gunn (anche lei con un Emmy all’attivo) ha portato il personaggio di Skyler negli anni a un livello superiore.
Non da meno vanno ricordati anche Giancarlo Esposito, Dean Norris, Jonathan Banks e Bob Odenkirk e il “Ricky Cunnigham degli psicopatici” Jesse Plemons.

 Il cast agli Emmy 2013 dove Breaking Bad ha vinto come miglior serie drammatica

venerdì 20 giugno 2014

BREAKING BAD - INTRODUZIONE

La premessa qui

OGNI VITA NASCE DA UNA SENTENZA DI MORTE

Magari due o tre di voi in questi ultimi anni sono stati risucchiati in una dimensione parallela e non sanno di cosa parla Breaking Bad. Per questi alieni provvederò a fare un riassunto introduttivo (quello che scrivo succede praticamente nel primo episodio).
Walter White è un grigio rappresentante della classe media che pur essendo un genio della chimica è finito a fare l’insegnante in un anonimo liceo di Albuquerque in New Messico. Ha un figlio adolescente affetto da paralisi cerebrale, una moglie casalinga incinta del secondo figlio e per riuscire a far quadrare il bilancio familiare è costretto a un umiliante secondo lavoro in un autolavaggio.
In questo non proprio allegro contesto appena svoltata la boa dei cinquant’anni apprende di avere un cancro terminale ai polmoni (una bella mazzata per chiunque) con al massimo due anni di vita.
La diagnosi gli cambierà la vita. Per potersi curare e per poter lasciare dei soldi ai familiari alla sua morte, Walter White decide di usare le sue conoscenze chimiche per produrre, o meglio “cucinare”, la migliore metanfetamina su piazza con l’aiuto di un suo ex-studente, diventato nel frattempo criminale di mezza tacca, Jesse Pinkman.
Da questa decisione discenderanno tutti gli avvenimenti successivi che lo porteranno in un viaggio all’interno di un mondo a lui completamente avulso in una non scontatissima e tortuosa ascesa al potere a cui corrisponderà una discesa morale.

Breaking Bad è quindi fondamentalmente la storia di un uomo, è una storia umana e individuale. Non ambisce ad essere un affresco sociale come è stato The Wire. Il che ovviamente non vieta che si possano cercare anche altre chiavi di lettura e interpretazioni alla serie.
Nell’intenzione del creatore Vince Gilligan la storia di Breaking Bad è quella di “Mr.Chips che si trasforma in Scarfare” ed è un esperimento narrativo cha ha lo scopo di creare un personaggio “in fieri” che non resti bloccato e immutabile nel corso delle stagioni e soprattutto che passi dal ruolo di protagonista a quello di antagonista.
Per fare questo ha preso come protagonista un individuo che, per appartenenza sociale, istruzione, esperienza di vita e professione è la persona più improbabile possibile per un’avventura nel mondo criminale, ma anche quello in cui lo spettatore per affinità può più facilmente riconoscersi.
Se il pericolo di una trasformazione troppo netta avrebbe potuto portare Walter White ad alienarsi le simpatie dello spettatore è anche vero che dando sempre una motivazione alle azioni del protagonista, Vince Gilligan ha portato tutta una fetta di spettatori a parteggiare talmente per Walter da vederlo sempre come una vittima o una persona costretta dalle circostanze a fare certe azioni e non come un vero cattivo, pur venendo continuamente presentate al protagonista vie di fuga alternative (vedi ed esempio l’episodio 1x05 “Gray Matter”).
In onestà, anche se ne riconosco i crimini, anch’io mi metto tra coloro che hanno sempre parteggiato per Mr.White per tutto il corso delle stagioni.

Che cosa significa “Breaking Bad”? La traduzione non è così semplice e univoca perché è una tipica espressione del sud degli Stati Uniti sconosciuta nel resto del paese. A detta del creatore Vince Gilligan, infatti, quando espose il titolo ai produttori californiani, questi non ne capirono il significato.
“Breaking Bad” indica qualcuno che perde la retta via a causa di una decisione presa ingenerando una serie di conseguenze negative, ma anche chi infrange la legge e sfida le autorità. Secondo Vince Gilligan inoltre è un’espressione simile a “scatenare l’inferno”.
Proprio al personaggio di Walter White e alla sua decisione si riferisce il titolo della serie pronunciata da Jesse Pinkman in una famosa battuta del Pilot (“Nah, come on man. Some straight like you, giant stick up his ass at like what, sixty, he’s just gonna break bad?”).

E Jesse poi continua così:


Leggi il seguito:
Parte uno - Il successo è una questione di chimica: gli elementi che interagendo rendono Breaking Bad una serie unica


lunedì 16 giugno 2014

BREAKING BAD






Nel giugno del 2012 ho incominciato a vedere quella che di lì a poco sarebbe diventata la mia serie Tv preferita di sempre. Ovviamente si tratta di Breaking Bad, che ai tempi era ancora un cult ma che, nel frattempo, complice anche i premi vinti, è diventata un fenomeno che ha travalicato i confini del mondo virtuale.

L’arrivo dell’estate, a dir la verità della prima estate senza Breaking Bad, ha riacceso in me la malinconia per la fine della serie e così per alleviare un po’ la nostalgia ho deciso di scrivere un pezzo su un’opera che ormai è considerata un capolavoro della serialità moderna (accanto ai vari The Sopranos, The Wire, Six Feet Under, Mad Men ecc…ecc…), ma che soprattutto ho amato a tal punto da arrivare a considerare i protagonisti della serie quasi come “gente di casa”.

Doveva essere un pezzo breve, ma il non mai sopito entusiasmo per la serie mi ha preso la mano e sono arrivata a scrivere una tesi di laurea! Così ho diviso lo scritto in capitoli e l' ho pubblicato un poco alla volta, giusto per non annoiare troppo!

mercoledì 4 giugno 2014

THE GRAND BUDAPEST HOTEL



Più di un mese fa ho visto un film che mi è piaciuto parecchio: The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, vincitore del Gran Premio della Giuria al festival di Berlino. 
Da un pò volevo scrivere qualcosa a riguardo, ma avvertivo tutta la mia adeguatezza visto che non essendo critico di professione, ma solo una che guarda e legge tante cose, ho pensato che avrei sicuramente scritto qualche fesseria.
Mi sono comunque decisa a buttare giù due righe (proprio due) quantomeno per (spero) invogliare chi legge ad andare a vederlo (o recuperarlo in DVD quando uscirà).

Il regista Wes Anderson lo conoscevo già per The Royal Tenenbaum, suo film d'esordio, e Moonrise Kingdom, film di due anni fa sulla fuga d'amore di uno scout. Finora non ero entrata completamente in sintonia con la comicità di Wes Anderson, probabilmente perché ci vuole più di una visione per essere in grado di cogliere appieno il cinema di un regista che si staglia come un autore unico e ben riconoscibile all'interno del panorama cinematografico statunitense.

Nel suo ultimo film ci sono comunque tutti gli elementi tipici del suo cinema fatto di commedie surreali dal finale agrodolce con un fondo drammatico mescolato a un pò di poesia. 
La messa in scena è da vera e propria comica che ricorda i film in bianco e nero (Chaplin, Wilder, Lubitsch) pur essendo pellicole coloratissime. La fotografia è infatti un elemento essenziale nell'opera di Anderson tanto che alcune immagini sembrano dei veri quadri dai colori vivissimi. Anche la musica è un elemento fondante della sua opera.
Un'altra caratteristica dei film di Wes Anderson è di essere pieni di strampalati personaggi interpretati da una pletora di attori famosi alcuni dei quali sono degli abituée del suo cinema (vedi Bill Murray presente anche in questo film).

Ho dato giusto un'idea generale del tipo di film che andrete a vedere e non c'è comunque che da provare per capire se il cinema di Wes Anderson in generale e questo film in particolare faccia per voi. Io comunque questo film ve lo consiglio caldamente.

Note:
- La storia di The Grand Budapest Hotel è quella del concièrge Monsieur Gustave (Ralph Fiennes) dell'Hotel omonimo accusato dell' omicidio di una cliente sua amante nello stato immaginario di Zubrowka, situato nell'Europa anni trenta. Verrà aiutato a scagionarsi dal suo garzoncello (l'esordiente Tony Revoloni, la cui vicenda nel film serve anche a ironizzare sull'assurdità del concetto di frontiera nazionale).
- Il film è dedicato alle opere di Stefan Zweig, scrittore austriaco che si vide bruciare gli scritti dai nazisti nel 1933.