mercoledì 18 maggio 2016

Better Call Saul: parenti serpenti - considerazioni sulla seconda stagione.

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E’ trascorso un bel po’ da quando ho scritto l’ultima volta sul blog ma da quando è terminata la seconda stagione di Better Call Saul un paio di considerazioni volevo metterle per iscritto.
Più di un anno fa all’inizio della messa in onda della serie mi chiedevo che tipo di serie mi sarei trovata a vedere, se questa avrebbe avuto una sua indipendenza o se sarebbe stata un insieme di citazioni e rimandi di Breaking Bad che, sull’onda della nostalgia, avrebbe riunito un po’ di fan di vecchia data non ancora rassegnati alla fine della serie madre.
Se i dubbi erano più che legittimi e sono continuati per un po’ anche dopo l’inizio della serie,  la seconda stagione li ha fugati del tutto.
Better Call Saul è una serie ormai matura e indipendente che racconta una “sua” storia, piena certo di citazioni e rimandi a Breaking Bad (nella seconda stagione appaiono diversi personaggi) ma che al tempo stesso ha dimostrare di seguire una sua strada indipendente e sviluppare dei personaggi a tutto tondo.
La seconda domanda che mi ponevo era strettamente legata alla prima e riguardava che cosa avrebbe narrato Better Call Saul. La risposta sembrava ovvia, ovvero come Jimmy McGill sarebbe diventato Saul Goodman, ma restava il dubbio di come questa trasformazione sarebbe stata narrata. Anche in questo la seconda stagione è stata chiarificatrice.
Better Call Saul è un family drama, anche se sarebbe meglio definirlo un “brother drama”, se mi passate il temine coniato da me.
La storia di Jimmy non è una storia di intrighi di avvocati o di un uomo che sfugge al contenzioso in tribunale, come si poteva supporre alla vigilia, ma la storia di due fratelli e del loro rapporto conflittuale che si trascina negli anni. Entrambi sono portatori di una visione antitetica della realtà: quella rigorosa e rigida di Chuck e quella truffaldina ma simpaticamente affascinante di Jimmy.
Nonostante il successo professionale Chuck infatti non sembra poter perdonare al fratello minore di saper affascinare le persone pur essendo fondamentalmente un disonesto così come succede anche a Kim, il cui personaggio in questa seconda stagione è cresciuto enormemente, diventata meno legata alle sue convinzioni man mano che si avvicina a Jimmy e al suo vivere senza costrizioni.
Il tutto è condito dallo stile (questo sì) di Breaking Bad, attraverso un eccezionale comparto tecnico ma soprattutto una padronanza di mezzi e una capacità di far parlare le immagini e i silenzi come sono Gilligan e soci sanno avere.
Certo il fatto che BCS non sia Breaking Bad comporta che alla dilatazione dei tempi raramente corrisponde una repentina deflagrazione (anche letterale) degli avvenimenti in cui qualcuno muore o si fa’ parecchio male. Insomma non è un western moderno à la Sergio Leone.
In questa serie la dilatazione dei tempi può risultare ancora “più pesante” proprio perché ancora più concentrata sulle piccole azioni quotidiane dei personaggi e su come queste, come una goccia che cade, cesellano gli avvenimenti e le psicologie dei personaggi.
Una parte di quel mondo del cartello c’è ancora ed è sulle spalle di Mike la cui vicenda, pur regalando ottimi momenti di tensione (fra tutti lo scontro Mike/Tuco) sembra ancora essere in una fase di preparazione ad eventi futuri (il biglietto alla fine dell’ultima puntata...).
Al contrario la storyline di Jimmy non ha più bisogno di rodaggio.
Ecco se posso trovare un difetto in questa seconda stagione, è la mancanza di connessione tra la storia di Mike e quella di Jimmy che per ora procedono parallelamente incontrandosi solo sporadicamente.

Proprio questo vorrei vedere nella prossima stagione una maggiore interazione tra i due filoni narrativi dei due protagonisti e spero che questo accada quando anche la storia di Mike entrerà “nel vivo”.

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